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Perché il Louis Vuitton Trophy

 Forse non avrà perso il suo fascino, anzi, c’è chi dice che così la Coppa America abbia ritrovato il suo spirito originario. E, certo, a Valencia non sono scese in acqua due barche qualsiasi, ma il meglio che la tecnologia velica abbia mai varato. Ma è altrettanto evidente che la decisione di Ernesto Bertarelli, patron di Alinghi, di cambiare le regole del gioco dopo aver vinto la sfida del 2007, e la successiva, estenuante disputa legale con Bmw Oracle di Larry Ellison, abbiano dapprima depresso tutto l’ambiente e quindi tolto interesse all’evento. E, soprattutto, forza al business.

CAPITAL – Perché quando gli sponsor sentono parlare di liti giudiziali e di tribunali, invece di avvicinarsi, scappano. La prima a capirlo è stata Louis Vuitton. E, dopo oltre vent’anni di Louis Vuitton Cup, la regata tra i challenger’s (gli sfidanti) per stabilire l’avversario del defender (il detentorc della Coppa America), ha deciso di chiamarsi fuori e lanciare un nuovo progetto. «Volevamo colmare il vuoto lasciato nel cuore dei velisti», racconta Pietro Beccari, vicepresidente marketing e comunicazione di Louis Vuitton. L’idea è nata dal successo oltre ogni attesa delle Louis Vuitton Pacific Series, organizzate a Auckland nel febbraio 2009. «Un evento velico unico nel suo genere, ideato da Bruno Troublè (ex skipper di Coppa America nonché mente della LouisVuitton Cup) e voluto da Yves Carcelle (presidente e ceo di Louis Vuitton), in cui i grandi campioni della vela si sono sfidati ad armi pari con una formula di match race». Da lì il passo è stato breve. «E stato deciso e realizzato tutto in pochissimo tempo. Dal giorno in cui abbiamo annunciato il progetto del Louis Vuitton Trophy e presentato i team (all’inizio di settembre 2009, ndr) e la prima regata (7 novembre 2009) sono passati meno di due mesi».

Co-organizzatore del Trophy assieme a Louis Vuitton è la Wsta (World sailing team association), costituita da nove tra i team velici più importanti, e forti, del mondo. Oltre a un nutrito numero di armatori dalle mani d’oro (la quota associativa va da 150mila euro fino a 1 milione per i primary stakeholder).Tra gli altri hanno aderito Bmw Oracle, EmiratesTeam New Zealand, Synergy Russian Sailing Team e gli italiani Mascalzone Latino e Azzurra: sono loro che hanno deciso la località, il periodo, il regolamento e la partecipazione a ciascun evento. E, c’è da giurarci, senza incomprensioni né litigi, questa volta. Perché dietro alla costituzione del Wsta, c’è il lavoro dell’avvocato Alessandra Pandarese dello studio milanese Carnellutti, uno dei massimi esperti mondiali di regate e di Coppa America, già nel gruppo di lavoro che gestiva i regolamenti e la giustizia nella 32 nonché legale, in passato, del Moro di Venezia e di Luna Rossa e, oggi, di Mascalzone Latino.

«L’intento del Louis Vuitton Trophy», spiega Beccari, «era ed è quello di dimostrare che si può organizzare un evento velico di altissimo livello senza spendere cifre astronomiche, ma con ottimi ritorni economici». I costi di partecipazione per un team, dalla logistica agli allenamenti, alla comunicazione, sono compresi tra 500mila e 1 milione di euro per ciascuna prova. Nettamente più bassi rispetto alla Coppa America, anche perché le barche sono messe a disposizione dall’organizzazione, sono identiche e vince l’equipaggio più preparato e in forma, come è successo nella prima prova di Nizza conquistata da Azzurra, appena tornata in acqua grazie allo Yacht Club Costa Smeralda e all’Aga Khan. Il risultato economico derivato dalla copertura media dell’evento di Nizza ha confermato le grandi potenzialità del format: oltre 9 milioni di euro sono stati generati da 1.200 articoli e da 354 ore di programmazione televisiva su 400 canali in 163 Paesi (a Auckland erano stati calcolati in 12 milioni di dollari). Ecco perché molte altre città si sono subito candidate per ospitare una tappa del Trophy. La prossima, dal 9 al 21 marzo, sarà di nuovo a Auckland, poi i team regateranno a La Maddalena, dal 22 maggio al 6 giugno, e a Dubai, dal 13 al 27 novembre, prima dell’evento di Hong Kong in calendario all’inizio del 2011, dal 9 al 24 gennaio. «Tutte location straordinarie, ognuna con caratteristiche diverse», dice Beccari. «Abbiamo scelto le più belle: Nizza, Auckland dove tutto ha avuto inizio un anno fa con le Pacific Series. In Italia non potevamo immaginare sede migliore della Sardegna, un luogo unico per gli appassionati di vela, mentre l’efficiente macchina organizzativa e i campi di regata vicini alla riva hanno giocato un ruolo decisivo nella scelta di Dubai.

 

Senza dubbio ospitare una tappa del Louis Vuitton Trophy rappresenta un’opportunità interessante e un sicuro ritorno in termini di indotto per le località ospitanti».Tanto che Hong Kong ha messo sul piatto 1 milione di euro per contribuire all’organizzazione e accaparrarsi l’evento diventando per due settimane la capitale mondiale della vela. Insomma, se la decisione di smarcarsi dalla Coppa America è stata una scelta quasi obbligata, e quella di lanciare una competizione alternativa è stata dettata dalla «passione e dalla condivisione dei valori autentici della vela», come dice Beccari, il ritorno d’immagine ha comunque entusiasmato il marketing di Louis Vuitton. E adesso che Larry Ellison ha strappato la Coppa delle 100 ghinee dalle mani di Bertarelli, la maison francese può anche pensare di tornare come sponsor ufficiale di Coppa America: «II Louis Vuitton Trophy ha un suo programma che terminerà nel gennaio 2011, poi potrebbe tornare a essere la Louis Vuitton Cup.

Non lo escludiamo a priori. Ora che l’America’s Cup ha un nuovo vincitore valuteremo le sue decisioni, ci siederemo a un tavolo e prenderemo in considerazione le proposte ed il protocollo che verrà proposto dal defender», conclude Beccari.

Mascalzone gentiluomo
Non ha aspettato neanche un secondo per lanciare la sfida. Il 14 febbraio Vincenzo Onorato (foto a sinistra) era a Valencia, a bordo di un gommone, a pochi metri dalla linea di arrivo. Aspettava con impazienza l’arrivo di Bmw Oracle. E appena il trimarano del suo amico Larry Ellison ha tagliato il traguardo, il patron di Mascalzone Latino ha tirato fuori le carte preparate dall’avvocato Alessandra Pandarese e le ha consegnate ai vincitori della 33 Che hanno subito accettato la sfida. Sarà dunque il team di Onorato, in rappresentanza del Club Nautico Roma, il Challenger of Record della prossima edizione di Coppa America. Non significa, però, che sarà lo sfidante unico di Oracle. Perché, dopo la rivoluzione tentata da Ernesto Bertarelli, sono tutti d’accordo: è tempo di restaurazione. Essere Challenger of Record significa condividere con il defender le responsabilità organizzative. E, visti i buoni rapporti tra Ellison e Onorato, i termini della sfida saranno decisi amichevolmente questa volta. Sicuramente si tornerà alle regate dei challenger e, probabilmente, anche alle vecchie barche monoscafo. Si dovrebbe correre nel 2013, forse a Newport, per oltre mezzo secolo il teatro di altre America’s Cup.

DA CAPITAL

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