Quando il 27 luglio, la Regina Elisabetta II d’Inghilterra ha dichiarato ufficialmente aperti i 30simi Giochi olimpici a Londra, la capitale inglese è diventata la prima città al mondo ad aver ospitato le Olimpiadi per la terza volta (dopo il 1908 e il 1948). Così inizia il rapporto redatto dagli esperti dell’ufficio studi di UniCredit ricordando che a Londra si sono dati appuntamento 10.500 atleti provenienti da 205 nazioni che si stanno cimentando e, con buona pace del barone de Coubertin, tutti con un unico sogno, che nella gran parte dei casi resterà tale: coronare la propria partecipazione portando a casa una medaglia. Statisticamente, solo il 9% di loro ha questa probabilità. Quale Paese invece se ne aggiudicherà il maggior numero?
Secondo le stime degli analisti di UniCredit, andrà ai Paesi dell’Eurozona con 169 medaglie (174 a Pechino nel 2008) contro le 102 (110) degli Stati Uniti e le 100 (invariate) della Cina. Il modello di previsione si basa sull’andamento del palmares finale di 130 nazioni nei Giochi Olimpici tenuti tra il 1952 e il 2008, un totale di 1.175 analisi. Al quarto posto, dopo l’aggregato dell’Eurozona, gli Stati Uniti e la Cina, dovrebbe piazzarsi la Russia con 74 medaglie (73), seguita da Gran Bretagna (68 medaglie contro 47 nel 2008), Australia (42 contro 46), Germania (41, invariate) e Francia (40 contro 41).
L’Italia si piazza all’11simo posto, nelle stime, con 28 medaglie contro 27 a Pechino e contro le 25 ritenute di recente da Gianni Petrucci, presidente del Coni, come asticella minima per la nostra delegazione.
Se si analizzano i risultati delle precedenti competizioni, si nota che i fattori chiave che hanno influito sul successo di una nazione sono la numerosità della popolazione, le risorse finanziarie dedicate allo sport, il fatto di avere un’economia centralmente pianificata e il vantaggio di ‘giocare in casa’. Ci sono inoltre Paesi che investono maggiormente sullo sport e questo dà frutti per più edizioni dei giochi. Al contrario, pare non esista il cosiddetto effetto ‘cricket-and-rugby’, la teoria secondo cui gli inglesi avrebbero danneggiato il successo dei Paesi del Commonwealth diffondendo discipline non olimpiche, come appunto il cricket e il rugby.
Harm Bandholz e Andreas Rees hanno costruito il loro modello predittivo su sei variabili: popolazione, il Pil reale pro capite corretto con il potere d’acquisto, la quota medaglie, il fatto di essere o meno Paese ospitante o un Paese a economia centralmente pianificata. Il modello di previsione si basa sull’andamento del palmares finale di 130 nazioni nei Giochi Olimpici tenuti tra il 1952 e il 2008, un totale di 1.175 analisi.