Avete mai fatto caso al numero di barche abbandonate nei cantieri? Oppure alle barche spiaggiate in qualche darsena senza legittimo proprietario? Esistono gli sfasciabarche? Esiste un sistema intelligente di recupero dei materiali? La risposta sembrerebbe proprio di no e neanche un provvedimento statale che impone una tutela della natura evitando lo scempio di questi pochi scatti pubblicati in rete. In realtà le barche abbandonate sono una risorsa che andrebbe tutelata o per ridare un’opportunità a mezzi bellissimi per una seconda vita o per un opportuno riciclo dei materiali. Le imbarcazioni del futuro dovrebbero avere nel loro DNA la possibilità di essere riciclate ma questo vorrebbe dire ingenti investimenti per la cantieristica per cambiare l’approccio progettuale. Forse l’Italia e questo settore non è ancora maturo, ma quando compriamo una barca valutiamo la possibilità di donarle a fine vita, una nuova opportunità di navigare, saremmo pionieri della #NauticaCircolare. Per questo tema oggi proponiamo un bell’articolo apparso su ZeusNews che affronta l’argomento partendo da un libro presentato all’Università Bocconi. Zeus News
Leggi l’articolo originale su ZEUS News Ti insegno l’economia circolare: come si ricicla e si riducono gli sprechi. Nuovi strumenti tecnologici a disposizione di multinazionali USA per fare quello che in Italia facciamo da sempre: riutilizzare gli scarti. Il libro di Peter Lacy, Jakob Rutqvist e Beatrice Lamonica “Circular Economy. Dallo spreco al valore”, edito da Egea, (300 pp, 35 euro) è stato presentato alla Bocconi come fosse una rivelazione. Secondo Lacy, nuove salvifiche tecnologie digitali offrirebbero ottime possibilità di guadagno passando alla circular economy. Niente di nuovo, ma, sembrerebbe che la digitalizzazione delle informazioni abbia permesso di abbattere barriere all’applicazione su larga scala di riuso e riciclo, rappresentate da costi informativi, dal costo della manodopera e dagli ostacoli alla collaborazione. Grazie al digitale si starebbe sviluppando un promettente rilancio industriale basato sulla razionalizzazione delle risorse. Oggi, le crescenti preoccupazioni per l’esaurimento delle risorse, e la ripresa del prezzo del petrolio hanno fatto scoprire pure alla categoria degli economisti il concetto di economia circolare.
La domanda che tutti gli operatori nel campo dei rifiuti si pongono è “E noi che di riciclo ci siamo sempre occupati, che siamo, acqua fresca?” In effetti è quantomeno curioso che queste lezioni provengano dal sistema produttivo USA, tradizionalmente crapulone e sprecone in virtù dell’abbondanza di materie prime che lo ha sempre caratterizzato. E l’operato di migliaia di aziende, piccole e grandi, in Europa, soprattutto in Italia, passa sotto silenzio.
In realtà il concetto di economia circolare è ben lungi dall’essere applicabile al nostro sistema industriale: la definizione di sistema economico circolare parla di un apparato progettato per potersi rigenerare da solo. Per cui dovrebbe essere possibile reintegrare i flussi di materiali, cosa attualmente non possibile, basti pensare solo agli 80 milioni di barili di petrolio estratti ogni giorno, per non parlare di carbone, gas naturale, e tutte le risorse minerarie in genere. Questi flussi si dirigono, in un solo verso, dal giacimento al consumo, senza possibilità di reintegro. Quello che possiamo fare oggi è fare in modo di riutilizzare quante più risorse derivanti da riuso, riciclo e recupero. E in questo tipo di economia gli USA sono molto indietro rispetto a noi. Non è un caso che negli articoli riguardanti il libro e nella presentazione all’università Bocconi, non si sia mai sentito il termine “filiera”.
Filiera è il termine che spiega i motivi della nostra efficienza e del disinteresse delle aziende USA, almeno fino a oggi. L’economia statunitense è formata da colossi, specializzati nel creare profitti utilizzando materie prime a basso costo. In Italia, la struttura industriale è molto più dispersa. Un fattore di non competitività, certo, ma anche una capacità strutturale di adattarsi a condizioni più difficili, come la scarsità di materie prime che ha sempre caratterizzato molte di queste economie, in primis la nostra.
Se osserviamo per esempio alcuni settori del riciclo, come il vetro, notiamo due situazioni opposte in USA, dove c’è grossa crisi, e in Italia, dove c’è crescita e salute. E questo al netto di sovvenzioni pubbliche, che sono presenti in entrambe le realtà. Il riciclo del vetro USA risente proprio dell’assenza di una filiera composta da operatori diversi per le diverse operazioni, come la frantumazione, la fusione, il trasporto, etc.
Purtroppo, come sempre è la scarsità che stimola l’eccellenza, non la tecnologia. E una prova è il fatto che gli stati USA del sud che stanno affrontando un’annosa siccità straordinaria sono oggi all’avanguardia nell’uso razionale dell’acqua: come riportato in questo e in questo articolo. L’estensione della vita del prodotto, la lunga durata dei beni, il ricondizionamento e la riduzione dei rifiuti sono concetti da sempre esistenti nel nostro sistema industriale, e le nuove tecnologie, siamo certi, saranno utilizzate dalle nostre aziende in modo molto più efficace di quanto non sapranno fare i colossi USA.
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