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La tutela degli oceani? E’ una questione culturale: impariamo a conoscerli

Siete pronti per la generazione Oceano? A giudicare da come lo abbiamo trattato e vissuto sino ad ora, sembra che gli abitanti della terra non siano pronti per amministrare al meglio i beni che sono stati loro concessi. Nemmeno i beni primari, quelli che ci fanno vivere, come l’oceano. – Intervista di Geraldine Schwarz

Si avete capito bene, l’oceano ci fa vivere. Ricopre circa il 70% del nostro pianeta e produce dal 50 all’80% di ossigeno che respiriamo, grazie al fitoplancton. Sorpresi? Eppure continuiamo ad inquinarlo, a non rispettarlo e a sfruttarlo al peggio.

Per invertire la tendenza, in tempi di riscoperta di green economy e della parola ambiente, l’UNESCO ha lanciato il programma del decennio delle scienze del mare e dello sviluppo sostenibile con l’obiettivo di renderci più consapevoli e di trovare soluzioni per passare dall’oceano come è all’oceano che vorremmo. Ma attenzione, ad essere coinvolti non sono solo gli scienziati ma tutta la società civile è chiamata in causa. Vediamo come, con Francesca Santoro,  Oceanografa e Specialista del Programma della Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’UNESCO dove coordina il progetto di educazione all’oceano Ocean Literacy, oggi impegnata a promuovere questo appuntamento di ricerca, studio e confronto internazionale decennale.

L’ONU e il decennio del Mare per lo sviluppo sostenibile, che cosa è? e quali sono i 7 risultati che si vogliono raggiungere?

Francesca Santoro

Il Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile è stato proclamato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per promuovere una vera e propria rivoluzione del modo in cui si porta avanti la ricerca oceanografica. Lo scopo è fare in modo che dalla “semplice” descrizione dei fenomeni si passi a delle proposte concrete che vadano nella direzione della messa in pratica di soluzioni a problemi quali la crisi climatica, la perdita di biodiversità o l’inquinamento. Per fare questo il Decennio mira a coinvolgere tutti, dunque non solo la comunità accademica ma anche le imprese, la società civile, le scuole, il mondo dei media. L’obiettivo è individuare un sapere scientifico per mettere in campo queste soluzioni ma anche approcci e metodologie per fare in modo che tutti possano usare meglio questo sapere per poter prendere delle decisioni più consapevoli. Il Decennio vuole passare dall’oceano che abbiamo che purtroppo è inquinato, insicuro e poco sostenibile, all’oceano che vogliamo che è descritto dai 7 risultati attesi che sono: oceano pulito, in cui le fonti di inquinamento vengono identificate e rimosse; un oceano sano e resistente in cui gli ecosistemi marini sono mappati e protetti; un oceano predicibile in cui la società ha la capacità di comprendere le condizioni oceaniche attuali e future; un oceano sicuro in cui le persone sono protette dai pericoli oceanici; un oceano utilizzato in modo sostenibile che garantisce la fornitura di cibo; un oceano accessibile con accesso aperto a dati, informazioni e tecnologie e infine un oceano che ispira e che coinvolge.

Quanto è importante l’Oceano per il nostro pianeta in termini ambientali soprattutto ma anche sociali, che cosa assicura e gestisce?

L’oceano ricopre circa il 71% della superficie del nostro pianeta, è fonte di cibo, di economia e di salute ma anche e soprattutto di ossigeno. L’oceano produce dal 50 all’80% dell’ossigeno prodotto sul nostro pianeta grazie al fitoplancton. Inoltre l’oceano assorbe circa il 28% del biossido di carbonio emesso in eccesso a causa delle attività antropiche oltre a aver assorbito circa il 90% del calore in eccesso. Potremmo dunque dire che l’oceano è il nostro migliore alleato nella lotta contro i cambiamenti climatici.  Inoltre sempre di più le attività economiche legate all’oceano, la “Blue Economy” stanno creando nuove opportunità di lavoro anche legate alla transizione ecologica. L’economia blu va oltre la visione dell’economia oceanica esclusivamente come un meccanismo per la crescita economica. Nel modello “business as usual”, le nazioni industriali su larga scala hanno visto lo sviluppo delle loro economie oceaniche attraverso lo sfruttamento delle risorse marittime e marine, ad esempio attraverso il trasporto marittimo, la pesca commerciale e il petrolio, il gas, i minerali e l’estrazione mineraria. industrie – spesso senza considerare gli effetti che le loro attività hanno sulla salute futura o sulla produttività di quelle stesse risorse. Simile alla “Green Economy“, il modello di economia blu mira al miglioramento del benessere umano e dell’equità sociale, riducendo significativamente i rischi ambientali e le scarsità ecologiche. Prevede un modello inclusivo in cui gli stati costieri – che a volte non hanno la capacità di gestire le loro ricche risorse oceaniche – possono iniziare ad estendere i benefici di tali risorse a tutti. Realizzare il pieno potenziale dell’economia blu significa inclusione e partecipazione di tutti i gruppi e settori sociali interessati. Ecco alcuni dati, l’economia blu ha un valore di circa 1,5 trilioni di dollari all’anno, l’80% del commercio globale in volume viene trasportato via mare, 350 milioni di posti di lavoro nel mondo sono legati alla pesca, l’acquacoltura è il settore alimentare in più rapida crescita e fornisce circa il 50% del pesce per il consumo umano.

Come possiamo diventare più consapevoli e più attenti alle nostre scelte?

C’è ancora tantissima strada da fare per far comprendere pienamente a tutti quanto l’oceano sia importante. Bisognerà a esempio, lavorare per fare in modo che questi temi siano parte integrante dei programmi scolastici. Attualmente si parla molto poco a scuola di questi temi. Per questa ragione come UNESCO stiamo per pubblicare delle linee guida per i ministeri dell’istruzione di tutti i paesi del mondo per fare in modo di accompagnarli e supportarli nell’inclusione strutturata di questi temi a scuola.

Obiettivi dell’agenda 2030

L’Italia è uno dei paesi target e traino di questa campagna, quali sono i progetti in cantiere per quest’anno e per i prossimi mesi nel nostro paese?

Abbiamo già sviluppato diversi progetti nel corso del primo anno del Decennio ma molti altri sono in cantiere. Primo fra tutti il nostro progetto Save The Wave che mira a ripristinare uno degli ecosistemi più importanti del nostro Mediterraneo la Posidonia Oceanica. Il progetto di ripristino è supportato da iniziative di divulgazione e sensibilizzazione delle comunità locali. Giovani, studenti, pescatori, imprenditori del settore turistico costiero e non solo, attraverso percorsi educativi ed esperienze formative, apprenderanno l’importanza di mantenere in salute gli ecosistemi marini, tra cui gli ecosistemi Blue Carbon, per avere un mare sano e produttivo. Save the Wave crea un network di progetti di recupero e conservazione di ecosistemi creando sinergie tra aziende, ricercatori e ricercatrici, università, organizzazioni no-profit che avviano i progetti in loco. E.ON è stato il primo partner ad abbracciare il progetto, contribuendo attivamente alle iniziative per il ripristino della prateria di Posidonia oceanica nel golfo della città di Palermo, in Sicilia.

l’Italia è uno dei paesi ai primi posti per produzione scientifica in campo marino, quali sono le nostre eccellenze e i centri che studiano l’Oceano?

A dicembre del 2020 come UNESCO abbiamo pubblicato il Global Ocean Science Report un documento che fa una fotografia della ricerca oceanografica nel mondo e sicuramente l’Italia è ai primi posti. Moltissimi sono i centri di ricerca che si occupano ad altissimi livelli di studiare l’oceano. Inoltre, mi piace ricordare qui che le lettere e gli appunti di viaggio di Luigi Ferdinando Marsili del periodo 1679-1680 sono la prima testimonianza scientifica di una campagna oceanografica: le misure fatte e descritte compongono forse il primo trattato scientifico dell’oceanografia moderna. Erano tempi pioneristici per la scienza moderna, guidata dal nuovo modo di guardare al mondo introdotto da Galileo Galilei e fondato su misurazioni, quantificazioni, sperimentazioni. Il lavoro di Marsili seguiva questa strada, una strada ripercorsa passo dopo passo dall’autrice, attualizzando, precisando e traducendo, anche confrontando le antiche mappe con le moderne immagini satellitari, il lavoro dello scienziato bolognese secondo i canoni degli studi contemporanei. Attualmente in Italia esiste un importante centro del Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Istituto di Scienze del Mare (ISMAR) che porta avanti studi sia di oceanografia fisica che di biologia marina, esiste anche un corso di studi unico nel suo genere il corso di Marine Sciences dell’Università della Bicocca, che ha aperto il MaRHE – The Marine Research and High Education Center sull’isola di Magoodhoo nell’Arcipelago delle Maldive, un centro di ricerca dove i ricercatori dell’Ateneo possono collaborare con i colleghi maldiviani per lo studio di nuove soluzioni per lo sviluppo sostenibile.

Concretamente come possiamo contribuire da cittadini responsabili per trovare soluzioni?

Come dico sempre l’impegno di tutti noi deve essere quello di conoscere meglio l’oceano, di informarsi, di diventare più consapevoli e poi fare anche gesti molto semplici come pensare a quali possono essere gli impatti sul mare dei nostri acquisti, dal pesce, agli abiti, ma anche cercare di consumare meno energia o prediligere il trasporto pubblico. E poi farsi testimoni del messaggio con colleghi, amici e parenti, diventare insomma ambasciatori del Decennio del Mare.

A chi si rivolge la campagna e il manifesto del decennio del mare?

Si rivolge a tutti dal mondo accademico, al mondo dell’impresa, alle associazioni non-governative alle istituzioni. Tutti possono aderire al manifesto proposto.

Istituzioni, aziende, startup, mondo scientifico, tecnici come si può lavorare insieme per soluzioni comuni?

Si può e in parte già succede. Per me la chiave è quella di approcciarsi al problema e non partire dalle proprie posizioni o competenze disciplinari. Il Decennio del Mare promuove un approccio trans-disciplinare che dunque va oltre le competenze singole ma mira a prima di tutto comprendere il problema in tutti i suoi elementi. Arrivare a una comprensione condivisa è per me il primo passo per poter portare sul tavolo soluzioni corrette.

Da un punto di vista personale come è arrivata a ricoprire questo ruolo?

Ci sono arrivata tramite una mia passione personale per il mare. Sono nata in Puglia e ho una mamma calabrese dunque per me il mare ha sempre fatto parte della mia vita. Poi al liceo ho avuto la fortuna di avere un preside che era un ambientalista ante-litteram direi. Stiamo parlando della metà degli anni 80’. Ci ha fatto comprendere come la questione ambientale fosse la questione più importante di cui occuparsi, e poi arrivato il momento della scelta universitaria ho scoperto che a Venezia si era creato il primo corso di laurea in scienze ambientali e dunque ho fatto un test di ingresso, sono passata e mi sono iscritta e laureata con una tesi sull’Area Marina Protetta di Punta Campanella. Da li non mi sono più fermata, ho fatto moltissime esperienze all’estero sempre mantenendo la mia curiosità e la mia voglia di dare un contributo concreto alla tutela del nostro oceano.

Quale è il “suo” mare? E come si è avvicinata al mare?

Il mio mare è il mar Mediterraneo, il mare del sud Italia così rassicurante e pieno di ricchezza, di storia e di cultura.

 

 

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