La piccola nautica in crisi: perché i cantieri stanno abbandonando le barche sotto gli 8 metri

C’era un tempo in cui la nautica da diporto si apriva con entusiasmo anche ai neofiti, grazie a piccole imbarcazioni accessibili, facili da gestire e perfette per scoprire il mare. Ma oggi il vento sembra cambiato. I cantieri italiani, spinti dalla ricerca di marginalità più elevate, stanno progressivamente abbandonando la produzione di unità sotto gli 8 metri, lasciando scoperto un segmento che aveva fatto la storia della diffusione del diportismo in Italia.
Secondo il report Monitor 2024/2025 di Confindustria Nautica, il comparto delle unità fino a 24 metri – che include appunto le imbarcazioni più piccole – registra performance decisamente in affanno. Solo il 40% delle aziende del settore prevede un fatturato stabile o in crescita, mentre un preoccupante 60% segnala una contrazione, con punte del 15% che si attendono cali superiori al 30%.
La tendenza è chiara: i cantieri stanno investendo in modo crescente su barche più grandi – sopra i 10, 12 metri – dove i margini di guadagno sono decisamente più elevati. I numeri parlano chiaro anche nel comparto dei superyacht, dove il 75% delle aziende prevede una crescita del fatturato, con la metà di esse che stima aumenti superiori al 10%.

Margini e complessità
La spiegazione è semplice quanto crudele: costruire una barca piccola costa, in proporzione, quasi quanto una grande, ma si vende a un prezzo che non copre le stesse spese. E se si aggiungono le difficoltà economiche globali, l’aumento dei tassi di interesse, la concorrenza dell’usato e la saturazione di alcuni mercati locali, il quadro si fa ancora più fosco.
Infatti, tra i fattori esogeni che colpiscono maggiormente il segmento delle barche fino a 24 metri, il 41% delle aziende indica i tassi di interesse elevati come il problema più critico. A seguire, la giacenza di stock invenduto è segnalata come “impattante” da ben il 56% del campione.
Un futuro da reinventare
Eppure il parco nautico italiano continua a essere dominato da barche di piccola taglia: quasi la metà delle unità immatricolate in Italia ha una lunghezza inferiore ai 10 metri. Ma questi dati storici, legati a scelte passate e a un’utenza diversa, rischiano oggi di diventare un’anomalia destinata a scomparire.
Se non si interviene con politiche di incentivo mirate – come agevolazioni per i nuovi armatori, semplificazioni burocratiche o programmi di rottamazione del vecchio usato – il rischio è di vedere il segmento entry-level del diporto svuotarsi, con ricadute dirette anche sull’indotto (rimessaggi, scuole nautiche, porti turistici).
La nautica italiana, eccellenza mondiale nelle grandi barche, rischia così di perdere il contatto con le sue radici popolari. E con esse, un’intera generazione di futuri diportisti.