Oceano

Condizioni estreme parola agli skipper

La quinta tappa da Auckland a Itajaì è stata una delle più dure e impegnative della Volvo Ocean Race, con una sola barca giunta al traguardo senza dover effettuare delle soste tecniche, una che ha finito con un armo di fortuna e due che hanno dovuto essere trasportate via nave e una ancora in navigazione. I problemi tecnici occorsi hanno dato vita a molti commenti nel mondo dei media specializzati e sui forum, perciò si è voluto dare la parola ai diretti interessati, i sei skipper, per avere le loro impressioni.

Chris Nicholson skipper di CAMPER with Emirates Team New Zealand dice che le barche dell’ultima generazione sono difficili da costruire e da portare ma che ciò è parte integrante della Volvo Ocean Race per tenere vivo l’interesse dei fan e una componente del lavoro dei velisti professionisti che ci navigano. “Non si possono produrre barche più veloci, per le tappe oceaniche e le in-port, e non si possono raggiungere certe prestazioni senza delle rotture. Immagino ci siano opinioni diverse in merito, ma tutti coloro che navigano su queste barche sanno esattamente di cosa sono capaci. Potremmo fare il giro del mondo su barche d’acciaio, facendo massimo 12 nodi, non rompendo mai nulla e il risultato sarebbe che nessuno si interesserebbe alla regata. Mi piace la combinazione che abbiamo, è una sfida ed è il motivo per cui il giro attrae i migliori velisti del mondo. le nostre sono barche eccezionali ma difficili, e così deve essere a questo livello del nostro sport.”

Iker Martínez skipper di Team Telefónica ritiene che le rotture a bordo delle barche che circumnavigano il globo siano virtualmente inevitabili e un fattore che gli skipper e gli equipaggi devono tenere in considerazione quando elaborano le loro strategie. “Le barche si danneggiano perché sono molto veloci. Possono facilmente raggiungere i 40 nodi e per non rompere a quelle velocità la barca deve essere molto solida, quindi non l’ideale per vincere una regata. Il modo migliore per vincere un giro del mondo è avere una barca veloce e potersi fermare quando necessario. E questo è quello che abbiamo, dobbiamo saperlo e tenerne conto, tutto qui.”

Mike Sanderson di Team Sanya, che è l’unico skipper in questa edizione ad aver già vinto una Volvo Ocean Race, ritiene che le rotture siano una cosa da mettere in contro, date le incredibili prestazioni dei Volvo Open 70 dell’ultima generazione. “Quando si naviga veloci si prendono molti colpi. Basta un attimo per capire a cosa sono sottoposti questi scafi. A volte ci si prova solo, a volte si prova a rallentare e non ci si riesce, sono incredibili.” Sanderson dice che le rotture sono sempre state parte della Volvo Ocean Race e cita a supporto la sua esperienza nell’edizione del 2005/06 che vinse su ABN AMRO ONE. “Era la prima volta che si usavano le nuove barche e abbiamo avuto moltissimi problemi, specialmente con le chiglie. Usavamo dei messi nuovi, che non erano stati provati prima e ci sono stati dei danni. Ma anche delle prestazioni spettacolari mai viste prima su dei monoscafi.”

Ian Walker  skipper di Abu Dhabi Ocean Racing da parte sua ha sottolineato come anche nelle edizioni precedenti gli incidenti siano stati molteplici. “Nella scorsa edizione abbiamo avuto solo una tappa molto dura, quella verso la Cina, non ci dobbiamo dimenticare che tre barche hanno avuto danni in quell’occasione e che le altre hanno dovuto fermarsi.” Tuttavia Walker concorda nel dire che questa volta, se solo PUMA è riuscito a completare la tappa senza fermarsi significa che qualcosa di sbagliato c’è. “Noi, non solo noi ma tutti i team, sembra che non riusciamo a passare indenni nelle condizioni dure. Prima della partenza della quinta tappa le cose non andavano male. Non avevamo avuto troppe rotture. Se riguardi la tappa, però, è evidente che non si può andare avanti così.” Walker non accusa i parametri di progettazione o la qualità di costruzione delle barche per le rotture. “Non penso si possa dare la colpa al regolamento e queste sono barche molto ben costruite. Credo piuttosto che le spingiamo talmente tanto e che siano talmente rigide e leggere che inevitabilmente i materiali siano sottoposti a delle rotture.”

Franck Cammas skipper di Groupama sailing team ritiene che ogni nuova generazione di Volvo Open 70 dia la possibilità ai team di renderli più stabili, imparando dalle esperienze precedenti. Cammas crede anche che tutti siano coscienti del fatto che prendere delle scorciatoie per risparmiare sia una falsa economia. “Sappiamo tutti e lo sanno gli esperti che la mancanza di affidabilità in fondo significa una perdita di tempo e di soldi. L’affidabilità è il fattore più importante e ogni regola vi è sottoposta.” Secondo lo skipper francese non è vero che l’attuale flotta sia meno resistente che nelle edizioni precedenti, ma che le barche sono certamente sfruttate di più a causa del livello della competizione di questo giro. “Le persone non devono pnsare che le barche siano meno resistenti, perché non è vero. E’ sicuro che il livello di questa Volvo Ocean Race ci porta a spingere le barche al massimo, molto più che nel passato. Sono più veloci perché sono progettate meglio. Le regole si possono sempre cambiare, a volte serve e potremmo avere delle barche più resistenti, ma non dobbiamo preoccuparci troppo perché fa parte del nostro sport. La Formula1 non sarebbe la stessa se non ci fossero incidenti e lo stesso è per la Volvo, se non cercassimo di raggiungere il massimo non ci sarebbero danni.”

Ken Read, skipper di PUMA Ocean Racing powered by BERG e vincitore della quinta tappa, ha dichiarato che le barche odierne sono davvero troppo veloci per le condizioni come quelle che si sono incontrate nel pacifico meridionale, dove i timonieri hanno passato la maggior parte del tempo a cercare di rallentare per evitare di danneggiarle. “Credo quello sia il punto dove è il fattore umano a prendere la precedenza e ci si dice “Senti, c’è un limite entro il quale si devono portare queste barche prima che le cose finiscano in catastrofe”. Andare a 40 nodi è la cosa più stupida che si possa fare, perché si perde il controllo. Però, a volte, non si ha scelta, si prendono una o due onde e… bisogna fare di tutto per non decollare. Sono le onde, è il mare che fanno succedere gli incidenti. Le onde di più di tre metri sono normali, poi ce ne sono da quindici metri che agiscono come vere rampe di lancio e sono quelle che fanno più male.” Malgrado PUMA sia stata la sola barca ad arrivare al traguardo senza problemi Ken Read concorda nel dire che molto dipende dal destino. “C’è una grande dose di fortuna. E’ come un incidente automobilistico, se fossi partito da casa dieci secondi prima la mia macchina non si sarebbe trovata in quel posto e non sarebbe successo nulla. Insomma, se non ti fossi trovato in quella particolare onda, la barca non sarebbe uscita dall’acqua e non sarebbe caduta e non si sarebbe rotta.” Anche lo skipper statunitense attribuisce molte delle rotture al livello agonistico della regata. “Per vincere devi sempre andare al limite. Il fatto è che questa regata è diventata così tirata che ci costringe a tirare in condizioni nelle quali normalmente non lo si farebbe. Rallentare significa togliere quel 10 percento, cioè passare da una totale mancanza di controllo a essere quasi fuori controllo. Dipende dalla naturale propensione alla competizione degli uomini, ma ci deve essere anche un istinto di sopravvivenza che ti dice ora non puoi spingere troppo, perché rischi di perdere la regata.”

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