Quando si parla di unità da diporto, non bisogna ragionare solo sul riciclo della vetroresina, ma anche sul fine vita. A porre l’accento sul tema è stata Barbara Amerio, presidente dell’Assemblea Yacht, in occasione del Barcolana Sea Summit.
Sottolineando la necessità di un progetto di fine vita per le unità da diporto e il necessario coinvolgimento di tutti i settori produttivi, Amerio ha spiegato che per avviare una filiera del fine vita servono “normative specifiche che disciplinino le responsabilità giuridiche, le metodologie, i percorsi tecnici di tutte fasi che necessariamente precedono il momento del trattamento della vetroresina. La raccolta, il trasporto e lo stoccaggio delle unità, messa in sicurezza e bonifica, il disassemblaggio, la separazione dei materiali da avviare alle filiere del riciclo, la riduzione volumetrica del manufatto nudo”.
Amerio ha quindi affermato che “non sono pensabili normative improvvisate, basate su nuove tasse. Il numero di nuove barche prodotte ogni anno è così esiguo rispetto alla flotta che non sarebbe sostenibile. Né è ipotizzabile che l’Italia si muova fuori da un quadro di coordinamento europeo. Tuttavia si possono studiare soluzioni, probabilmente di tipo assicurativo, in grado di spalmare gli oneri su tutta la durata di vita del prodotto”.
Ma cosa fare nel frattempo? In merito, Amerio ha spiegato che “le linee di azione sono la prevenzione e riduzione del materiale non riciclabile presente a bordo, la progettazione finalizzata, il disassemblaggio, l’utilizzazione degli scarti in un’ottica di produzione di energia”, ma è necessario anche “incentivare ricerche e sviluppo di filiera ed universitarie per studiare nuovi biocompositi alternativi a compositi tradizionali, come il basalto e il carbonio o riutilizzati in altri settori”. La presidente dell’Assemblea Yacht ha quindi detto che “una delle prime idee su cui il Comitato Sostenibilità di Confindustria Nautica sta lavorando è una banca dati dei materiali alternativi a quello non riciclabili”.